Mi chiedo: l'insegnante lavora davvero e fa perfino fatica?

Mi chiedo: l'insegnante lavora davvero e fa perfino fatica?
ultimo aggiornamento 04 November 2023
di Damiano Domenico Maria Trenchi

«È proprio vero che l’insegnante fa fatica?»

«Fatica? Mi piacerebbe vederne uno a lavorare in fabbrica!»

«Già! E poi vuoi mettere? Tre mesi di ferie pagate all’anno!»

«E lavorano qualche ora al giorno!»

«Dici che lavorano per davvero?».

Mi fermo qui perché questo tipo di conversazione potrebbe protrarsi all’infinito commisurando semplicemente l’inadeguatezza logica e culturale delle due o più persone che potrebbero essere protagoniste di questo siparietto grottesco e volutamente esagerato, eppure la professione dell’insegnante come tutte le helping professions o le high touch sono quelle a maggiore rischio burnout.

Qualsiasi persona veramente open-minded e non solo open-minded perché va di moda, comprende e capisce che la fatica di lavorare in fabbrica sia un altro tipo di fatica ma, ahimè, spero nessuno ci rimanga male, l’insegnante sgobba esattamente come l’operaio, il manager, l’imprenditore o l’artigiano, nonostante i famigerati tre mesi ferie estive e le “mille-mila” vacanze che durante l’anno può fare in giro per il mondo in resort di lusso in compagnia di star e celebrità, magari con la famiglia perfetta, in stile Mulino Bianco, al seguito.

Il lavoro dell’insegnante è una professione educativa e quasi una vocazione nel mondo contemporaneo perché si attraversa un periodo storico complesso e pieno di fragilità da ogni punto di vista: personale, economico, psicologico, educativo, familiare, etico, morale, religioso, didattico, logistico e chi più ne ha, più ne metta. L’insegnante deve essere, nel 2023, una figura camaleontica che deve continuamente adattarsi al cambiamento e che non può assolutamente pensare di avere una zona di comfort predefinita e duratura poiché le variabili impazzite che gravitano attorno ad un’aula, ad una scuola e all’intero mondo dell’istruzione sono in costante e quotidiana evoluzione.

Studentesse e studenti di qualsiasi fascia di età prendono tutto dalle e dai loro insegnanti perché ne hanno un disperato bisogno; prosciugano ogni centimetro di sapere, ogni accenno di abbraccio, qualsiasi mano tesa verso di loro perché la debolezza che accomuna le nuove generazioni ha sete e fame costante e crescente di sicurezza e di accoglienza, ma l’insegnante per quanto lavori poco e abbia tanto tempo a disposizione, come molti sostengono, non ha una batteria inesauribile al suo fianco e ricaricarla non è così semplice come mettere una spina dentro una presa di corrente. L’unica batteria su cui può contare è quella del suo sapere, della sua esperienza e del suo cuore che è grande come il mondo, altrimenti come potrebbe accogliere le delusioni, i pianti, gli sconforti, le preoccupazioni e qualsiasi altra cosa vogliate metterci dentro, di tutti?

Ebbene l’insegnante non è un robot o una macchina, ma semplicemente una persona che ha un suo vissuto, magari una famiglia, forse perfino qualche problema personale, che cerca di essere sempre sul pezzo, nonostante la fatica sia tanta e palpabile. E poi ci sono le colleghe e i colleghi? Li avete dimenticati? Spesso nascono amicizie meravigliose che durano una vita perché la condivisione tra insegnanti è un po’ quella che nasce tra sportivi all’interno di uno spogliatoio ma non dimenticate che la scuola è un ambiente lavorativo come un altro (per gli adulti!) e che la legge dello spogliatoio è, a volte, implacabile e subdola, per cui gelosia e invidia sono due componenti che non verranno, ahimè, mai estirpate. Che sia una scuola statale oppure paritaria, troppe volte il benessere del dipendente è messo in un piccolo cantuccio che saluta da lontano in attesa di essere finalmente chiamato a gran voce. Il dirigente scolastico, l’ormai antichissimo preside, il leader, l’odiato capo è lì che osserva e che scruta in attesa di metterti all’angolo, di spremerti per un tornaconto personale, di usarti a piacimento facendoti credere che un giorno la tua carriera lavorativa potrà essere un vanto per te stesso e per la scuola, eppure sono sicuro che esistano ancora persone in grado di capire che una qualsiasi macchina funzioni bene perché le ruote girano e soprattutto perché gli ingranaggi vengono regolarmente oliati e puliti a dovere. Qualche volta bisogna sostituirli? Sì, qualche volta è necessario e compiere delle scelte è un dovere altrimenti non possiamo fare altro che accontentarci della classe politica che ormai da decenni abbiamo davanti (ma questo è tutto un altro argomento!). Nelle scuole si deve insegnare a scegliere, a dire sì e dire no quando serve, non a cavalcare quella politica del galleggiamento che sta portando il mondo all'autodistruzione. La scelta richiede il confronto, l'educazione, la voglia di mettersi in gioco, di fare un passo indietro se necessario, di capire le persone che si hanno davanti e quando il dirigente scolastico, l’ormai antichissimo preside, il leader, l’odiato capo hanno ben presente queste cose, allora significa che possono fare molto perché sanno guardare fino all'orizzonte e non solo al recinto di un piccolo orticello

Qualche presa in giro di troppo? Qualche sgambetto inopportuno? Qualche piccola o grande forma di bullismo? Esiste anche qui come in qualsiasi altro posto di lavoro. Perché? Sarebbe bello poter dare una risposta ma siamo essere umani e siamo imperfetti, nonostante tra le mani abbiamo quelle vite che tutti speriamo possano cambiare davvero il mondo perché come lo hanno lasciato e come lo stiamo lasciando, non ci fa certo onore, ma non si può sempre aspettare nel domani perché è il presente che viviamo e se non agiamo immediatamente, qualcosa si potrà rompere per sempre. Non vorrei toccare anche il tasto stipendio così come quello genitori e famiglie che sicuramente sono già stati spremuti a dovere da molti, forse troppi, (potremo, se lo vorrete, parlare di tali argomenti in seguito) perché le mie intenzioni sono quelle di soffermarmi, attraverso questa riflessione, sul fatto che un insegnante non sia una persona che non sapeva cosa fare della propria vita ma che sia una persona che ha scelto, per tantissimi e diversissimi motivi, comunque tutti validi, anche se non condivisibili da parte di ciascuno di noi, di intraprendere un cammino di questo genere, magari contro tutti e tutto, eppure è ancora lì, dietro una cattedra malconcia, bistrattata, un po’ usurata, in mezzo alle sue studentesse e ai suoi studenti, come se il tempo non si fosse mai fermato, ma nonostante questa percezione, anche una o un insegnante può invecchiare, perdere la fiducia verso se stesso e verso gli altri, essere demoralizzato, avere sbalzi d’umore, sentirsi frustrato, poco realizzato e decisamente non motivato a sufficienza, ma usato adesso e smaltito domani eppure so per certo che una o un insegnante, nonostante più di centomila casi di burnout di cui ANIEF parla, sa il fatto suo e lotta ogni giorno perché dentro la sua testa e nei meandri del suo cuore ci sono ideali che non moriranno mai, nemmeno se tutto il sistema educativo e scolastico italiano, a volte, tenta di soffocare in ogni modo facendo perdere il sapore e la bellezza di una professione che, diciamocelo apertamente, non è come tutte le altre. Cosa c’è di più bello di ricevere un grazie da una studentessa o da uno studente? Cosa c’è di più appagante di riuscire ad asciugare le lacrime di una studentessa o di uno studente che chiede aiuto? Cosa c’è di più desiderabile che vedere gli occhi di una studentessa o di uno studente prendere il volo? Ecco, a volte anche gli insegnanti vorrebbero mettere un paio di ali per poter volare ma sono sicuro che preferiscano strappare ogni singola piuma per poter rattoppare quelle delle studentesse e degli studenti che hanno di fronte ogni santo (o maledetto?) giorno.

Tre come i mesi di ferie, diciotto come le ore lavorative, venticinque come, più o meno, la media delle studentesse e degli studenti che abbiamo di fronte: numeri sbagliati che alimentano solo odio e capri espiatori di un mondo che ha sempre bisogno di trovare dei colpevoli per sentirsi più forte e realizzato senza capire che le lotte tra poveri porteranno solo altra povertà e nulla più.

Ecco, l’insegnante fa fatica.

Anche lui, come tutte e tutti gli altri.

Per cui a cose serve l’ennesima guerra in un settore che dovrebbe promuovere e portare serenità, pace, lungimiranza e cultura?

Il segreto di ogni insegnante, forse, è quello di aver imparato a saper perdere per vincere una volta, una sola volta, ma quella volta, per sempre.

condividi

Blog

SCUOLA: un esercito che non deve MAI indietreggiare!
Aggiornato 1 anni fa

SCUOLA: un esercito che non deve MAI indietreggiare!

In un mondo in cui la parola guerra sta dominando tristemente la scena, proviamo a pensare alla scuola come un esercito, forse il migliore degli eserciti perché non possiede...

Leggi
Il diritto di poter SBAGLIARE!
Aggiornato 1 anni fa

Il diritto di poter SBAGLIARE!

Nel mondo contemporaneo lo sbaglio, l’errore e il fallimento non sono più ammessi. È come se l’unico obiettivo sia quello di arrivare primi per forza senz...

Leggi
EDUCATIVO o DIDATTICO? Questo è il dilemma!
Aggiornato 1 anni fa

EDUCATIVO o DIDATTICO? Questo è il dilemma!

Nel mondo dell’istruzione o della scuola, come preferisco chiamarlo, le tematiche dibattute sono sempre tantissime e di ogni genere perché, si sa, l’insegnante è di per s&...

Leggi
Mi chiedo: l'insegnante lavora davvero e fa perfino fatica?
Aggiornato 1 anni fa

Mi chiedo: l'insegnante lavora davvero e fa perfino fatica?

«È proprio vero che l’insegnante fa fatica?»

«Fatica? Mi piacerebbe vederne uno a lavorare in fabbrica!»

«Già! E poi vuoi mette...

Leggi