DAD o NON DAD: that is the question!

DAD o NON DAD: that is the question!
ultimo aggiornamento 29 December 2020
di Damiano Domenico Maria Trenchi

-Semplici professori o meglio, maestri di vita?- 

Spesso, in queste settimane, mi sono chiesto cosa debba fare un insegnante per essere comunque vicino ai suoi ragazzi e questa domanda ha scavato profondamente dentro di me, senza sosta, non lasciandomi dormire sonni tranquilli.

La figura del cosiddetto professore non è semplicemente quella che ricopre un posto di lavoro ma si tratta di un ruolo, un compito e perfino una missione da svolgere con perizia e accuratezza proprio perché, nelle mani di un insegnante, viene affidato il bene più prezioso che una famiglia possiede: i figli. Ecco che ci si ritrova a dover plasmare menti e cuori senza invadere le loro idee, senza obbligare a seguire un cammino e senza privarli di quei sentimenti che li renderanno unici ed inimitabili in futuro perché le idee vanno mostrate per essere scelte e condivise, di sentieri che portano in cima alla montagna ce ne sono tantissimi e c’è chi preferisce farsi una tirata tutta in salita per arrivare prima e chi, al contrario, preferisce osservare ogni scorcio di paesaggio mettendoci, ovviamente, più tempo ma, la cosa fondamentale, è che l’insegnante possa essere fucina di emozioni, altrimenti si ridurrebbe ad essere una voce stridente e amorfa registrata su un’antiquata videocassetta o un vecchio megafono che emette un grido senza far capire le parole.

Proprio per evitare queste immagini tristi e deludenti, a mio avviso, la relazione docente-discente è cosa imprescindibile per la scuola e a maggior ragione per il sistema educativo in cui il nostro istituto crede. Tutti noi consideriamo necessario portare alla bocca un panino con il salame per assaporarne il gusto, così, a livello educativo, è necessario il complimento, la pacca sulla spalla, il rimprovero, l’incoraggiamento tanto quanto l’interrogazione, la verifica, la discussione, il dibattito, ma in presenza! Sembra obsoleto in un mondo che sta diventando sempre più digitale, guardare negli occhi una persona, capire le sue emozioni, le sue perplessità, tendere una mano nel momento del bisogno, cogliere quei minimi segni che il viso di ciascuno di noi delinea quando si è preoccupati, arrabbiati, tristi, oppure felici, contenti e desiderosi di apprendere ma questi gesti, che non possono esprimersi appieno dietro uno schermo, sono il sale dell’educazione e della crescita, quindi della vita.

Personalmente la didattica a distanza mi ha permesso di mantenere quel legame imprescindibile con i miei studenti e mi sono aggrappato ad essa come se fosse l’ultimo salvagente a disposizione di un Titanic che sta affondando ma, è evidente che un salvagente possa salvarti la vita ma non galleggiare in mare aperto così a lungo.

Allora è proprio in un momento come questo che l’insegnante deve mostrare le sue migliori qualità, rivelando a tutti il vero motivo per cui abbia scelto di svolgere una professione così delicata ma quanto mai soddisfacente, evolvendosi, non restando ancorato alla sua quotidianità ma mettendo in gioco tutto se stesso, usando le sue capacità e la sua conoscenza per trasmettere quei messaggi che tutti i ragazzi si aspettano di sentire dalla sua bocca, di sorprendere e non di appiattire, di capire e non giudicare a prescindere, nonostante le difficoltà ma, soprattutto, di ridurre quella distanza che ogni giorno ci dà l’impressione di allungarsi sempre più, piuttosto che diminuire.

Libertà, gridava Mel Gibson intrepretando William Wallace in Breavheart mentre noi, che abbiamo il cuore libero da sempre e per sempre, chiediamo semplicemente un po’ più di attenzione verso un mondo, quello della scuola, troppo spesso bistrattato, messo in secondo piano e considerato l’ultima ruota del carro quando dovrebbe essere il motore di quella macchina complessa che prende il nome di società e quindi di futuro.

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